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Cellulite e lipedema: definizione, prevenzione e interventi

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Quando si parla di cellulite, clinicamente conosciuta come “pannicolopatia edematoso-fibrosa”, stiamo parlando di un problema estetico che interessa, in misura maggiore o minore, circa l’80% delle donne e ragazze[1].

In una misura ancora più grave però, sempre in ambito estetico, troviamo il “lipedema”, che secondo alcuni studi epidemiologici interessa l’11% delle donne[2] (dichiaratamente sottostimato), e qui non parliamo solo di un problema che può rappresentare un motivo di disagio psicologico, ma conseguenza di uno stile di vita cronico non del tutto salutare e prodromo di future complicanze patologiche[3–5].

Occupiamoci prima di tutto di distinguere queste due condizioni, successivamente proveremo insieme a trovare una misura preventiva che possa essere applicata ad entrambe.

Definizione e categorizzazione della cellulite

Tecnicamente chiamata anche “lipodistrofia ginoide” o comunemente detta “pelle a buccia d’arancia”, la cellulite è un problema frequente che interessa in misura maggiore le donne rispetto agli uomini. Si presenta infatti, come un’infiammazione che interessa le cellule del tessuto adiposo, che, se aggravata, può giungere fino alla creazione di tessuto fibroso e sclerosi, manifestandosi con i classici “buchi” e piccoli noduli. La classificazione della cellulite va da 0 a 3[6,7]:

  • 0: quando la pelle si presenta liscia, non ci sono alterazioni visibili in condizioni normali, ma si evidenziano in misura lieve o lievissima solo “pizzicando” una parte di pelle (ad esempio sul gluteo o esterno gluteo, coscia);
  • 1: quando non ci sono alterazioni visibili in condizioni normali ma si evidenziano pizzicando una parte di pelle (ad esempio sul gluteo o esterno gluteo) o quando i muscoli interessati (soprattutto quelli degli arti inferiori) si contraggono;
  • 2: quando le alterazioni sono visibili stando in piedi in determinati distretti cruciali;
  • 3: quando le alterazioni sono francamente manifeste sia in piedi che da sdraiati, con presenza di noduli ed eventualmente accompagnati da dolori alla palpazione.

Perché viene la cellulite

Dagli studi si evince come la cellulite sia una patologia multifattoriale, che comprende sia i fattori genetici che quelli ambientali che quelli ormonali. Risulta più frequente nelle donne caucasiche, che a differenza delle latino-americane non ne soffrono a livello addominale, ma solo su fianchi e cosce.

Al di là dei fattori sopra citati, emerge che, senza ombra di dubbio, lo stile di vita accelera ed amplifica la comparsa di cellulite, per cui una dieta non salutare ricca in sale, grassi e zuccheri semplici, associata ad una iperinsulinemia genera lipodistrofia, cioè un accumulo di tessuto adiposo che comunemente diremmo “nei punti più brutti e difficili da mandare via”. Uno stile di vita sedentario e ipocinetico, ovvero lieve o completa assenza di attività motoria, porta ad una maggiore manifestazione a causa di un’aumentata stasi ematica, con ipossia e ischemia del tessuto adiposo soprattutto negli arti inferiori. Anche l’alcol, e non necessariamente in eccesso, in associazione ad una dieta non congrua e con apporto di calorie superiore al fabbisogno, genera l’incremento della lipodistrofia. Incide anche il fumo, tramite la produzione di radicali liberi responsabili del danno cellulare e dell’infiammazione, ed infine una maggior predisposizione all’iperestrogenismo, con minor progesterone porta, insieme a tutti i fattori citati qui sopra, ad un alterato funzionamento delle cellule adipose con possibile metaplasia (metamorfosi) in tessuto fibrotico (responsabile della pelle a buccia d’arancia), aumento della permeabilità capillare con conseguente ritenzione idrica data lo spostamento dei liquidi nel distretto extracelullare[1,6–8].

Lipedema cos’è? Definizione, categorizzazione e stadi della patologia 

Si indica per lipedema una progressiva e cronica condizione che porta ad un anormale sviluppo del tessuto adiposo con conseguente edema ed allargamento dei tessuti, soprattutto nella parte inferiore del corpo[5].

In base alle aree in cui si sviluppa, il lipedema viene catalogato in 5 tipi, poiché può interessare per lo più la parte degli arti inferiori, ma può anche svilupparsi in quelli superiori, soprattutto nell’area tricipitale[2]. Si definiscono invece tre stadi del lipedema[9]:

  • I stadio: con manifestazioni più miti e con pochissimi noduli formati localizzati, di carattere adiposo-edematoso possibilmente reversibile;
  • II stadio: con noduli più evidenti “a forma di noce” (walnut size nodules), con un edema difficilmente reversibile;
  • III stadio: con un marcato e massivo accumulo di noduli, accompagnato da linfedema ovvero uno scompenso tra i fluidi linfatici e dei vasi, apparentemente privo di dolore ma che può sfociare in complicanze a livello del sistema ematico e dell’apparato tegumentario (pelle).

Le possibili cause e la patogenesi del lipedema

Gli autori delle revisioni presenti in letteratura indicano come possibili cause fisiopatologiche, i fattori genetici, di cui ormonali e non ormonali. Tra i fattori genetici, oltre ad una possibile ereditarietà, si ipotizza un disordine nella distribuzione dei recettori estrogenici di tipo alfa e beta nel tessuto adiposo bianco, con una predominanza dei secondi rispetto ai primi[10]. Non è chiaro se la patologia si manifesti con un ingrandimento delle cellule adipose o un aumento del numero delle stesse, ma sembrerebbe che il disordine si crei proprio nei primi stadi della differenziazione delle cellule del tessuto adiposo[9]. Questo sarebbe un punto cruciale soprattutto tra l’infanzia e l’adolescenza, dove si verificano con più preponderanza gli aumenti delle cellule adipose (iperplasia del tessuto adiposo) di difficile reversibilità[11].

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La connessione tra cellulite e lipedema

Talvolta si tende ad unire e confondere queste due patologie sebbene siano clinicamente distinte. La cellulite, dal grado 0 al 2, è una sindrome molto più reversibile di quanto lo sia il lipedema al solo stadio I, poiché in quest’ultima c’è una degenerazione massiva del sistema linfatico e una necrosi delle cellule adipose, aumentando quindi non solo la ritenzione idrica a causa dell’infiammazione e dell’efflusso di liquidi nell’interstizio, ma soprattutto per la metaplasia in tessuto fibrotico.

La cellulite di grado 3 è molto simile al linfoedema, perché presenta anch’essa degenerazione dei vasi linfatici con creazione di piccoli noduli, ma a differenza della seconda, l’allargamento del tessuto degli arti interessati è di minor entità e al tatto è più molle ed acquoso. Talvolta è possibile che alcuni soggetti presentino entrambe le patologie con gradi e stadi che si intersecano tra di loro[7,12].

Come prevenire la cellulite e il lipedema

Alla base di entrambe le patologie ci sono una serie di fattori genetici ai quali purtroppo la nostra volontà può talvolta solo soccombere, se e solo se, ne asseconderemo la naturale predisposizione con errate e non congrue abitudini e stili di vita.

Considerazioni sulla prevenzione primaria: l’attività fisica

L’infanzia e l’adolescenza sono momenti fondamentali per gettare le basi di ciò che saremo da grandi, a livello fisico[13] e psichico[14], per cui i genitori qui saranno i diretti responsabili[15]. Sarà necessario che avviino i propri figli ad una giornaliera attività fisica, tale da mantenere i livelli di tessuto adiposo fisiologici, che quindi non portino a ritardi dello sviluppo ed accrescimento dell’apparato muscolo-scheletrico (Nda – per intendersi dopo la primissima infanzia, senza presentare un eccesso né negli arti e tantomeno nel tronco, ma solo nel volto a livello delle guance).

I bambini devono poter aver la possibilità di provare qualsiasi sport individuale e di squadra, soprattutto tra gli 8 e gli 11 anni, per poter poi scegliere autonomamente in base alle proprie preferenze ed inclinazioni. Lo sport è inteso come attività fisica che perfezioni gli schemi motori di base già naturalmente appresi, che insegni nuove abilità, che faccia svolgere un lavoro meccanico-muscolare, che quindi comporti una spesa energetica e un deciso sforzo in relazione alle proprie capacità con conseguente sudorazione (nda – perché il vero sforzo porta necessariamente a sudorazione ed evitiamo di preoccuparci se prendono freddo o si ammalano)[13,16–18].

Lo sforzo muscolare adeguato non solo garantirà un normale sviluppo staturale e ponderale, ma regolerà anche i processi cognitivi, il ciclo sonno-veglia, i meccanismi della fame portando ad una automatica omeostasi. Inoltre influenzerà e mitigherà i livelli ormonali, soprattutto nei soggetti femminili con iperestrogenismo, diminuendo quindi la possibilità che si presentino complicazione lipodistrofiche e ossee etrogeno dipendenti[19–21]. (nda – è qui che io concentrerei il focus nella prevenzione della cellulite e lipedema, perché sarà realmente fondamentale non abbandonare l’attività sportiva neppure nei momenti più tassanti dell’adolescenza, in cui si deve far fronte alle consegne scolastiche conciliandole con le uscite con gli amici e il divertimento. Lo sport e la salute psichica e fisica è importante tanto quanto la scuola).

Lo sport e lo sviluppo psico-sociale

Lo sport, infine, è anche un importante momento di aggregazione e sviluppo psico-sociale, per determinare le attitudini e i comportamenti. Sarà quindi fondamentale il ruolo degli istruttori, allenatori e maestri, per non creare discriminazioni o preferenze, evitare incoraggiamenti all’odio, calunnie gratuite e atteggiamenti socialmente inaccettabili, che potrebbero portare i bambini e gli adolescenti ad intraprendere stili di vita non salutari sia per la loro psiche che per il corpo in cui abitano e possiedono[14,22,23].

Gli sport che hanno un basso impatto sullo sviluppo osteo-muscolare appropriato sono quegli sport che non interessano globalmente il corpo, per cui è necessario (nda – mi ripeto), far provare più sport con diverso impegno muscolare nell’infanzia al fine di una corretta crescita nel periodo di turgor II[15,24].

Considerazioni sulla prevenzione primaria: l’alimentazione

La prevenzione primaria per evitare future condizioni patologiche come obesità, ma anche appunto lipodistrofie, che generino poi complicanze anche a livello psicologico, passano dall’alimentazione. I genitori, le scuole e coloro i quali si occupano del nutrimento dei bambini e adolescenti, sono i diretti responsabili della loro salute futura (nda – per questo sarebbe necessaria un’educazione alimentare tramite corsi ed appropriati mezzi che lo stato dovrebbe mettere a loro disposizione). Le linee guida per i bambini e gli adolescenti che fanno sport, sono praticamente quasi le stesse proposte anche per gli adulti, per cui rifacendomi direttamente al “Manuale di nutrizione in età evolutiva” proposta dalla Società italiana di Pediatria preventiva e sociale (https://www.sipps.it/pdf/editoriale/manuale_di_nutrizione.pdf), si consiglia un introito calorico di 65-75 kcal/kg di peso corporeo per i bambini dai 9-12 anni e 1,1-1,2 g/kg di proteine, con una distribuzione calorica totale di 55-60% di carboidrati, 12-15% di proteine e il 25-30% di grassi. Chiaramente ricalca la linea della dieta mediterranea, sottolineando l’importanza di alimenti contenenti ferro, calcio e vitamina D, oltre che ad alimenti che apportino una buona quantità di aminoacidi essenziali e soprattutto leucina, come carne, pesce e formaggi.

Per cui le indicazioni alimentari sono:

  • verdura di stagione almeno una porzione a pranzo e una a cena;
  • frutta almeno 2-3 porzioni tra la colazione e gli spuntini;
  • cereali integrali non lavorati come farro, orzo, riso selvaggio o nero, quinoa sia a pranzo che a cena;
  • a colazione è importante che ci sia una parte proteica ad esempio da yogurt, kefir o altri formaggi come la ricotta, quark, o formaggi a pasta dura, ma anche affettati magri o uova; così come una parte di carboidrati semplici e complessi, appunto da frutta e avena ad esempio, oppure del buon pane 100% da farina integrale a lievitazione naturale; infine ad una fonte di grassi come della frutta secca a guscio, preferibilmente intera, ma anche le creme spalmabili al 100% sono accettate;
  • sono da limitare il più possibile tutti i prodotti industriali e artigianali che subiscono processi plurimi di lavorazione, da quelli salati a quelli dolci, al fine di evitare un introito maggiore rispetto al fabbisogno, poiché, come sappiamo, è molto più facile ingerire grandi quantità di prodotti raffinati (con molti zuccheri, acidi grassi e sale) piuttosto che quelli integrali e di minima lavorazione.

Questo apporterà un’adeguata quantità di proteine, carboidrati, grassi, fibre ed oligoelementi come vitamine e sali minerali, tali da non dover aver bisogno, se non in particolari casi, di integrazioni ad hoc (vitamina D, gruppo B e vitamina C) previo consulto del proprio medico pediatra o di base. Inoltre, come già scritto sopra, i bambini ed anche gli adolescenti, possiedono una naturale autoregolazione degli stimoli della fame, garantita e modulata dalla giornaliera attività motoria, ma anche appunto dalla scelta di cibi integrali e minimamente processati.

Aldilà di queste indicazioni, che gli addetti del settore danno oramai per assodate, rimane pur sempre il problema che in Italia, soprattutto al sud, nella fascia tra i 6 e 17 anni aumentano di anno in anno i casi di obesità[25], per cui è evidente che manchi un’adeguata informazione circa  la prevenzione primaria dagli enti preposti rivolta a coloro i quali si occupano dell’alimentazione dei bambini e ragazzi.

La critica fase adolescenziale

Una volta arrivata l’adolescenza, la patria potestà sull’alimentazione comincia a venir meno, ed i ragazzi quando escono preferiscono optare per il fast food piuttosto che per lo slow food, vuoi per cultura ed abitudini dei coetanei, vuoi per gli insegnamenti ricevuti o per assenza di questi ultimi[26–29]. A questo ci aggiungiamo i primi approcci verso l’alcol, degenerando poi in episodi di binge-drinking, con conseguente denutrizione e malnutrizione per lo più tra ragazze che, conoscendo le potenzialità caloriche dell’alcol e del cibo sull’aumento del peso e sui possibili effetti estetici negativi, scelgono di bere piuttosto che mangiare[30–34]. Questo tipo di atteggiamento porta ad una diminuzione dell’albumina con conseguenti carenze nutrizionali, ma anche un maggior efflusso dei liquidi nel tessuto interstiziale, aggravato ulteriormente da un’infiammazione per la produzione dei radicali liberi da metabolismo di etanolo, che ha come risultato finale una copiosa ritenzione idrica[35–37]

Alla luce di quanto detto, un’inadeguata alimentazione, carente in proteine, vitamine e altri oligoelementi, con consumo di alcol frequente, unito al tabagismo, ed una carente o nulla attività fisica, sono il perfetto paradigma per l’accelerazione e l’insorgenza di lipodistrofie come la cellulite e il lipedema.

Possibili interventi per ridurre cellulite e lipedema

Considerazioni generali

Le linee guida per entrambe queste patologie si intersecano e si sovrappongono. Dato che alla base dell’eziopatogenesi troviamo per tutte e due fattori genetici, fattori ormonali e fattori socio-ambientali e comportamentali, come possibile trattamento troviamo: dietoterapia (nda – orrenda parola), attività fisica, trattamenti topici non invasivi e invasivi o interventi chirurgici.

In generale è bene ricordare che si tratta di lipodistrofie, perciò la riduzione del tessuto adiposo è requisito fondamentale per ridurre le manifestazioni di entrambe le patologie. Ad ogni modo, tratteremo solamente le prime due metodologie, dando uno sguardo anche ai possibili integratori con una buona evidenza scientifica a supporto[1,9].

Sarà necessario tenere presente che mentre le classi 0, 1, e 2 della cellulite sono molto più maneggevoli con allenamento e alimentazione, il lipedema, rappresenta una lipodistrofia di maggiore entità ed è difficilmente reversibile.  In taluni casi di I stadio però, poiché come abbiamo visto si tratta di un problema di ipocinetismo, iperalimentazione e malnutrizione che aggrava un quadro genetico e ormonale già predisposto, tramite un percorso di allenamento ed alimentazione ad hoc che richiederà dedizione, costanza e pazienza, si può giungere a notevoli risultati. Purtroppo il lipedema di II e III classe, e la sua forma più grave cioè il linfedema, dovranno essere adeguatamente trattati con misure più invasive[9], quali quelle chirurgiche, seguite poi da un’adeguata attività fisica e alimentazione che dovranno essere tenute come stile di vita e non come la moda di una stagione.

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Allenamento: non esiste solo “l’aerobica”

Il punto focale è che deve giungere un maggior flusso di sangue nei segmenti con più tessuto adiposo dove è presente la lipodistrofia. Benché la “spot reduction”, cioè il dimagrimento localizzato sia una chimera per certi soggetti con già bassi livelli di adipe, non lo è in altri casi come questo, cioè a dire che se io allenassi solo la parte superiore del corpo senza mai intaccare quella inferiore è chiaro che ne avrei un minor sviluppo, una minora modificazione, a causa un minor afflusso sanguigno, minor ritorno venoso e quindi stasi ematica ed ischemia delle cellule adipose con appunto degenerazione in cellulite e lipedema.

L’allenamento quindi nei casi di queste due lipodistrofie deve essere il più possibile globale e non segmentario[38,39], cioè dobbiamo allenare i soggetti che ne soffrono, interessando sia i punti cruciali che quelli dove invece non c’è alcuna manifestazione. L’allenamento deve essere quindi strutturato da un professionista che valuterà le capacità del soggetto in primis, la soggettiva responsività al tipo di allenamento, confrontandosi anche con il nutrizionista, dietista o medico dietologo.

La programmazione dovrebbe essere stilata di mese in mese, poiché in questo caso i margini di cambiamento estetico avvengono in un arco temporale lungo, e le modifiche dovranno essere semmai in base ai feedback qualora il carico di lavoro o i tipi di esercizi siano non sostenibili o di difficile esecuzione. In linea generale le indicazioni potrebbero essere le seguenti, considerando i pochi dati in letteratura:

  • minimo 5.000 passi al giorno, l’ideale sarebbe tendere verso i 10.000, evitare quindi di utilizzare i mezzi di trasporto laddove sia possibile, ed utilizzare le scale piuttosto che l’ascensore[40];
  • 1-3 sessioni attività aerobica monostrutturata da 30-40 minuti, anche 60-120 se si tratta di bicicletta indoor o outdoor, tra i 60-65% del battito cardiaco massimo affinchè sia un’attività lieve e moderata (per quanto limitato, rimane sempre un ottimo parametro per chi parte da condizioni di ipocinetismo completo o lieve);
  • 1-3 sessioni attività anaerobica e aerobica monostrutturata o polistrutturata, qui si può scegliere in base al soggetto se prediligere ancora un’attività monostrutturata come ad esempio bici, corsa, vogatore, nuoto in modalità High Intesity Interval Training (HIIT), oppure utilizzare un tipo di allenamento misto come ad esempio il “functional training” o crossfit;
  • 2-3 sessioni di allenamento contro resistenza, cioè allenamento con i pesi, avendo cura di inserire sia una parte di forza pura che di forza resistente, per stimolare più fibre possibili e favorire l’iperemia nei distretti interessati (nda – ecco perché qui la spot reduction assume un significato).

La risposta sarà sempre soggettiva, non esiste un protocollo comune. Il professionista dovrà saper riconoscere la linea che separa il risultato positivo dal plateau o da quello negativo, poiché se un certo protocollo potrà portare risultati ottimi nei primi mesi, potrebbe poi rivelarsi controproducente nelle fasi successive.

Come allenarsi: un esempio pratico

Ad esempio, se nella maggior parte delle donne inizialmente un allenamento misto stile crossfit, con carichi leggeri di 3-5 sessioni a settimana per 2-3 mesi, può portare a notevoli risultati in termini di diminuzione del tessuto adiposo in maniera globale[41,42], spesso poi possiamo osservare l’insorgere di un leggero grado di cellulite, dal 1 al 2. Beninteso che questo iniziale miglioramento è il risultato di nuovi stimoli muscolari e psicologici dati anche da un entusiasmo che porta con sé di solito anche una maggior applicazione e aderenza al piano nutrizionale[43], o una minor tendenza all’assunzione del cibo[44], la possibilità che la condizione estetica peggiori nei mesi successivi, soprattutto nel comparto degli arti inferiori, può essere causata da una continua sollecitazione del tessuto muscolare che genera una naturale infiammazione e quindi un efflusso di liquidi nell’interstizio[45], ma anche, e dobbiamo sottolinearlo bene, dalla perdita dell’aderenza di un corretto piano alimentare ed un aumento dell’introito calorico per una perdita dei meccanismi compensatori sull’appetito[46].

In ogni caso per ridurre lo spessore del grasso in determinati distretti dello strato sottocutaneo è necessario sviluppare ipertrofia muscolare delle fibre di tipo II[47], allenare con più volume o intensità alcuni segmenti della parte inferiore del corpo se necessario e se questo potrebbe apportare un beneficio al soggetto, per aumentare l’espressione di alcuni geni del metabolismo dei grassi[48] e allo stesso tempo per creare un deficit calorico leggero e sostenibile per influenzare le riserve di trigliceridi in tutto il corpo. Nel gergo questo tipo di protocollo è chiamato “ricomposizione corporea”[49], cioè una costruzione muscolare e una riduzione di tessuto adiposo allo stesso tempo, ovvero una fase anabolica e una catabolica, che nel mondo del fitness si pensava non potessero coesistere, ma in realtà le innumerevoli rilevazioni empiriche e aneddottiche, nonché una copiosa letteratura analitica, ci dicono che è perfettamente realizzabile.

Una buona base di allenamento aerobico è infine obbligatoria. L’allenamento continuo di intensità moderata (MICT) è stato ripetutamente equiparato all’allenamento ad intervalli ad alta intensità (HIIT) come dispendio energetico e adattamenti fisiologici nel tessuto adiposo di soggetti obesi[50,51], tuttavia, il MICT rimane la forma più sostenibile di esercizio aerobico nei pazienti in sovrappeso soprattutto inizialmente, quando non possono muoversi comodamente con il loro corpo[52]. In secondo luogo, il MICT è un’attività meno gravosa a livello neuromotorio rispetto a HIIT, ed è quindi possibile aumentarne il volume, consentire quindi una maggiore iperemia tissutale, stimolare le scorte di trigliceridi nel tessuto adiposo e il dispendio calorico[53], Ad ogni modo, entrambe queste metodologie possono essere utilizzate dalla discrezione del chinesiologo, dalla capacità motoria del soggetto e dalle preferenze dello stesso.

Nel caso del lipedema, si applica quanto detto sopra, poiché non esiste un altro protocollo diverso da quello di fare attività fisica programmata e muoversi il più possibile giornalmente evitando la sedentarietà[9]. Una preparazione pre-chirurgica sarebbe auspicabile per diminuire il tessuto adiposo e facilitare la riuscita dei trattamenti invasivi, ma il vero lavoro arriverà post-chirurgia, in cui l’applicazione dovrà essere come già detto: costante, efficace e cronica[9].

Alimentazione corretta: molto più semplice di quanto si creda

Molti dei pazienti che soffrono di cellulite e lipedema ne risentono fortemente a livello psicologico, e soffrendo già di disordini alimentari, è necessario che questo tema venga affrontato a 360 gradi insieme anche a psicologi e psicoterapeuti[9].

Ad ogni modo, in uno studio del 2019 fatto su 57 persone con lipodistrofie che si sottoponevano a trattamenti non invasivi, riporta che:

  • il 50% consumava frutta e verdura ogni giorno;
  • il 52% mangiava solo pochissime volte a settimana alimenti densi caloricamente con zuccheri e grassi saturi;
  • solo l’8% di mangiava giornalmente ad un fast food;
  • il 22% invece aveva eliminato completamente questo tipo di cibi dalla loro alimentazione;
  • il 44% consumava spesso alimenti con molti zuccheri ma il restante 56% diceva di non consumarli mai;
  • il 52% consumava per lo più grassi di origine animale e il 48% per lo più di origine vegetale;
  • il 16% dichiarava di bere almeno 2 drink a settimana ed il 56% diceva di condurre una vita attiva[46].

Aldilà dei bias, che già conosciamo, nei casi di self-reporting, ne emerge un quadro abbastanza chiaro: una persona su due che si sottopone a cure non invasive in un centro estetico per ridurre le lipodistrofie, non ritiene così importante né un’alimentazione salutare, tantomeno l’esercizio fisico.

Detto questo, le linee guida sono le medesime che abbiamo visto per la prevenzione in età pediatrica e adolescenziale, per cui di base la nostrana dieta mediterranea nelle sue scelte più naturali e meno industrializzate possibile[47]. Seppur è vero che stiamo parlando di adulti adesso, bisognerà fare i conti anche con i momenti di socialità e di convivialità, ma pensare di poter ridurre una lipodistrofia con solo trattamenti estetici non invasivi, senza un adeguato piano nutrizionale redatto da un professionista del settore dell’alimentazione e una programmazione ad hoc fatta da un chinesiologo esperto, e pensando che sia solo un protocollo da seguire per un certo periodo di tempo e non un qualcosa che debba far parte del vostro modo di vivere, risolverà solo temporaneamente il problema[1,2,9,38,54].

Consigli pratici per una dieta corretta

Dato che le lipodistrofie hanno alla base un aumento del tessuto adiposo, un’ischemia dello stesso, un aumento della ritenzione idrica dovuta ad un’infiammazione cronica, dovremmo cercare di agire in queste direzioni:

  • garantire un adeguato apporto proteico fin dalla colazione (puoi leggere l’approfondimento sulla colazione proteica) e per tutto il resto della giornata, che ristabilisca l’omeostasi delle proteine plasmatiche per evitare carenze vitaminiche e l’efflusso di liquidi, ma anche affinché gli aminoacidi essenziali sostengano il turnover dei tessuti che devono essere modellati o rigenerati[56-58];
  • un generoso apporto di verdura, frutta fresca, essiccata e oleosa, questo per garantire l’adeguato apporto di fibre necessarie per ridurre l’altra concentrazione di estrogeni [59,60], di vitamine e oligoelementi per le funzionalità metaboliche, nonché di antiossidanti per ridurre e limitare la proliferazione di radicali liberi agendo quindi sull’infiammazione [61,62];
  • non eliminare assolutamente il sale (sodio + cloro), ma assumerne 5 g al giorno [63,64] mettendolo sopra i cibi che naturalmente ne hanno poco, ed evitando di mangiare invece quei prodotti industriali che ne contengono molto [65,66];
  • assumere almeno 2-2,5 lt di acqua al giorno[67];
  • eliminare il più possibile prodotti che apportino inutili e vuote calorie da zucchero, sciroppo di fruttosio o glucosio per ridurre l’infiammazione dovuta ad una deleteria metabolizzazione degli stessi con produzione di AGEs[68]
  • moderare in maniera incisiva o eliminare del tutto l’assunzione di alcol[36,69–72];
  • utilizzare integratori di collagene non inciderà sulla modificazione del tessuto fibrotico del lipedema o della cellulite, poiché se già vi è un apporto proteico e di vitamina C adeguato, il corpo produrrà collagene in maniera autonoma, ma potrebbe essere valutato in casi di malnutrizione e dieta vegana[73];
  • valutare l’integrazione di Omega-3 così come il consumo più frequente di pesci che ne contengono[74–77], i livelli di vitamina D[78], così come la possibile stabilizzazione del microbiota[75], e l’impiego di astaxantina[79–82], affinché con questi si promuova una riduzione dell’infiammazione sistemica e il cacao che con i suoi flavonoli non solo riduce i radicali liberi ma permette anche un maggior afflusso di sangue[83–85].

Nota finale dell’autore

Questo è tutto quel che ho potuto estrapolare dalla letteratura fino a ottobre del 2021, ma ovviamente le considerazioni sono state integrate dall’empirismo che ho potuto accumulare in questi anni da chinesiologo e più di recente in ambulatorio come aspirante nutrizionista. Aldilà della soggettività, che non è un cliché ma un dato di fatto, l’approccio a 360 gradi con specialisti in medicina estetica, psicoterapeuti, chinesiologi e professionisti dell’alimentazione è auspicabile soprattutto nei casi più gravi delle due lipodistrofie. Ma l’onere maggiore grava sui pazienti stessi e sui genitori per una corretta prevenzione verso i propri figli.

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