In questo secondo articolo dedicato alla dieta chetogenica, capiremo cosa serve al nostro organismo per funzionare e quando esiste il rischio di catabolismo muscolare. Attraverso l’analisi di alcuni studi valuteremo gli effetti della dieta chetogenica in correlazione all’intensità dell’allenamento e, per concludere, faremo un focus sull’importanza del glucosio come substrato energetico.
Hai già letto il primo articolo? La dieta chetogenica “fat-adapted”
A cosa servono i substrati energetici?
Nell’esercizio fisico, il carburante per poter eseguire un determinato tipo di movimento, qualsiasi sia l’intensità, è sempre e comunque l’ATP (adenosina trifosfato). Si produce ATP grazie ad un complesso ed intricato sistema di processi catabolici che provengono maggiormente dai carboidrati e dai grassi, ma talvolta anche dalle proteine se i primi due vengono a mancare e l’intensità rimane alta.
Ebbene sì, quel processo di cui tutti temiamo l’esito, ovvero la gluconeogenesi, la produzione di glucosio a partire da determinati aminoacidi è reale e tangibile.
Quando avviene il catabolismo muscolare?
Non preoccupatevi perché prima di intaccare la massa muscolare si devono verificare due eventi drammatici: un lungo digiuno di oltre 24 ore; uno strenuo esercizio continuo oltre i 90 minuti senza poter attingere a fonti di glucosio endogeno ed esogeno [6,21,22].
Per portare a termine un allenamento ed una competizione con profitto, servono adeguate scorte e rifornimenti di glucosio e di acidi grassi, che i processi catabolici del soggetto utilizzeranno adeguatamente in base al livello e all’intensità relativa [1,6,11]. Per cui ripetiamo questo concetto che ci servirà anche in altri articoli: per portare a termine un allenamento ed una competizione con profitto, servono adeguate scorte e rifornimenti di glucosio e di acidi grassi.
Dieta chetogenica fat-adapted ed intensità di allenamento
Possiamo quindi divenire fat-adapted, pur senza entrare in chetosi, perché come abbiamo visto conta l’abbondanza del substrato [1]. Questo scenario è per lo più applicabile in allenamenti a medio-bassa intensità [13-16], poiché oramai sappiamo quanto siano importanti i carboidrati nell’alta intensità, ma soprattutto nel mantenimento di questa per un lasso di tempo che va dai 3 ai 20 minuti per attività multimodali come nel crossfit [17], e oltre i 60 minuti per gli sport di endurance [7,12].
Taluni potranno affermare che grazie allo “switch” ad una dieta LCHF, le performance nei workout medio-corti e le alzate di forza pura siano rimaste invariate o addirittura aumentate. Non è escluso che possa capitare, vuoi per una programmazione scorretta e inadeguata seguita fino a quel momento, vuoi per un miglioramento dell’alimentazione rispetto alla precedente. Spesso il miglioramento può avvenire anche solo nelle alzate di forza pura, che utilizzano come substrato di pronto utilizzo la fosfocreatina (PC), che si ricarica con un tempo di recupero alto (3-5 minuti), anche in un regime a basso contenuto di carboidrati, con o senza integrazione di creatina [6,7].
Talvolta qui entrano in gioco quei bias cognitivi, cioè quei vizi di contenuto soggettivi caratteristici degli studi pro diete chetogeniche, che portano ad un risultato neutro o lievemente positivo nell’applicazione di queste all’allenamento [1].
L’importanza della flessibilità metabolica e come ottenerla
Il punto non è divenire fat-adapted o keto-adapted, il punto è conquistare la flessibilità metabolica [1]. Quando vedete un atleta che pur allenandosi meno di voi e mangiando più di voi mantiene alte le sue performance con una bassa percentuale di massa grassa, sicuramente meno del 10%, non è fortunato lui, è che il suo background sportivo, le sue abitudini alimentari e quotidiane, hanno fatto in modo che il suo organismo divenisse metabolicamente flessibile, ovvero che imparasse a sintetizzare ed utilizzare il glucosio quando viene richiesto, così come ossidare quando necessario gli acidi grassi ed evitare l’accumulo ectopico del tessuto adiposo [1,6,11], oltre che una corretta autoregolazione ed un introito calorico adeguato.
Glucosio: il principale substrato energetico
Il fatto è che il glucosio, derivato semplice dei carboidrati come pasta, pane, riso, cheerios, metà molecole dello zucchero da cucina, continua a rimanere il principale substrato energetico, e senza dubbio il più efficiente, nel mantenere alta la produzione di ATP domandata dall’intensità dell’esercizio, anche negli sport di ultra-endurance dove si poteva ipotizzare un possibile “switch” energetico [23-26].
Non dimentichiamo infine che è vero che è l’apparato locomotore quello che abbisogna di più glucosio, ma il centro diagnostico e di invio dei comandi, cioè il cervello, ne necessita altrettanto. Il reclutamento neuro-muscolare, la percezione dello sforzo, il “decision making”, la strategia e l’esecuzione delle skill, vengono elaborati dal cervello, il cui principale substrato energetico è il glucosio stoccato negli astrociti [27,28], e benché possa funzionare anche a chetoni [12], questo avviene tramite un processo di forzatura metabolica chiamata chetosi fisiologica [6,11].
Conclusioni
In questa seconda parte dedicata alla dieta chetogenica nella vita di uno sportivo abbiamo analizzato nel dettaglio quali sono le caratteristiche di questo regime che devono essere prese in considerazione da uno sportivo. Abbiamo scoperto che:
- il carburante di cui il nostro organismo necessita sempre è l’ATP (adenosina trifosfato);
- i casi in cui potremmo incorrere nel dannoso catabolismo muscolare sono due: un lungo digiuno di oltre 24 ore ed uno strenuo esercizio continuo della durata di oltre i 90 minuti senza poter attingere a fonti di glucosio endogeno ed esogeno;
- possiamo intraprendere una dieta fat-adapted anche senza entrare in chetosi;
- una delle cose più importanti per uno sportivo è ottenere la flessibilità metabolica;
- il glucosio è il principale substrato energetico e svolge funzioni fondamentali all’interno del nostro corpo.
Nel prossimo articolo di questa saga andremo ad analizzare nel dettaglio la chetosi fisiologica e come un popolo artico, gli Inuit, ci abbiano insegnato molto a riguardo.